Questo è un estratto da una bozza di più di un anno fa che non ho mai pubblicato. Riparto da qui per parlare dell’inchiesta del giorno (fin qui anche dell’anno) condotta dal NY Times e di come, almeno io, stia fraintendendo l’uso di internet.
Fra i motivi per cui provo a tenere un blog il primo posto lo occupa facebook. Sì, facebook, non mi piace. Non mi piace che mi chieda le cose, che me le ricordi e più in generale che voglia a tutti i costi interagire con me. È subdolo facebook, con quei suoi salutini simpatici al mattino, in cui mi dice anche di prendere l’ombrello. Mi invita a condividere le cose “con i tuoi amici”, come se loro ne sentissero un estremo bisogno o come se condividere facesse di me una persona incredibilmente migliore. La realtà è che ogni volta che vediamo qualcosa e premiamo “mi piace” diamo un’indicazione precisa, un dettaglio in più.
È come se di fronte a noi avessimo un disegnatore cieco che ci bombarda di frasi e domande per capire come siamo fatti e noi gli diciamo ogni volta “Sì” o “No”. Dopo due ore probabilmente non avrà fatto neanche i contorni del volto, ma dopo quattro o cinque anni di frasi e domande il disegno avrà una qualità fotografica. Questo fa facebook: mette assieme le nostre risposte per proporci contenuti e pubblicità, per i quali incassa denaro.
Del resto è gratis e, come avevo sentito dire a qualcuno ultimamente “Se non lo paghi, il prodotto sei tu”.
Ho sempre prestato molta attenzione al tema della privacy online, ma solo ultimamente sto iniziando a provare un vero fastidio per l’assenza di strumenti di difesa (o libertà) che mi circonda. Non posso dire che quella che ho subito sia una perdita di libertà per mano di un potere più forte di me, quanto più una rinuncia autonoma, volontaria e, in fin dei conti, dannosa. La cosa, per altro, non si circoscrive solo a facebook, ma anche a tanti altri servizi.
Da qualche tempo mi sembra che rinunciare a scegliere, pensando di averne ancora la possibilità, sia la prassi dei servizi online. È il caso di Netflix e Spotify, due servizi che fra un anno dismetterò, ma che nel frattempo mi fanno scegliere fra tantissime canzoni e telefilm, togliendomi quella noiosa rogna di dover cercare qualcosa da ascoltare o guardare. Peccato solo che quella noiosa rogna sia ciò che mi ha permesso di maturare un gusto, scambiare opinioni e imparare qualcosa mentre il mio super-intelligentissimo Daily Mix 1 (oltre a sembrare il nome di cereali ricchi di fibre) contiene della roba di gruppi che non ascolterei neanche per sbaglio. Tutto questo “proporre sulla base dei tuoi gusti” – fatto da intelligenze artificiali e machine learning – sta annichilendo il piacere stesso della scelta, una forma di libertà alla quale dovrei impegnarmi a stare più attento. In poche parole: più torrent e meno consigli automatici. Un po’ come quando a scuola ci imponevano di leggere un libro per le vacanze: meglio qualsiasi altro, ma almeno scelto da noi.
Anche se forse ci siamo già dentro, non vorrei vivere in un mondo in cui le foto che metto su Amazon Drive vengono passate in rassegna da un’intelligenza artificiale che capisce cos’ho e cosa mi manca in casa, chi ci abita dentro e che età ha, per poi, tuttaltro che casualmente, trovare fra i prodotti consigliati una cosa che davvero mi manca e che starebbe benissimo su quella mensola.
Peggio ancora, non vorrei che qualcuno prendesse i miei dati a mia insaputa – né all’insaputa di persone anche più indifese di me – per poi venderli a società che disegnano le campagne elettorali. Pare sia stato un innocuo test il cavallo di Troia per farsi aprire le porte da 50 milioni di utenti e farsi autorizzare a prendere informazioni personali da vendere poi, contro ogni regolamento, al miglior offerente. Sì, uno di quei tanti Autorizzo che spesso si premono per “poter andare avanti”. Qui si tocca il vero dilemma per il futuro di internet: chi ha stabilito che è attendibile quell’autorizzo come consenso a fornire i miei dati? Sarebbe altrettanto veloce recuperare/distruggere i dati, di mia proprietà, che prima ho autorizzato a trattare? E chi controlla come vengono usati i dati delle persone?
E poi, alla fine, facebook come farà a fare altri soldi?