fabio
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Il campionato che si è appena chiuso verrà ricordato per molte cose. La maggior parte (spero) saranno incluse nel classico post del pagellone della serie A, altre saranno tralasciate, una invece sarà indelebile per questa stagione. In tutte le sotto-trame che questa annata ci ha raccontato - la lotta scudetto, quella salvezza, quella per l’Europa League, la rimonta della Juventus, la favola Salernitana, le gare rinviate, le squadre senza proprietario, Mourinho e la Conference, etc. - abbiamo registrato il prepotente ritorno di un autore che dall’inizio del capitolo VAR sembrava essersi allontanato dal racconto: l’arbitro.

Certo è un po’ naive e riduttivo nel 2022 dire solamnte l’arbitro visto che per una partita si contano almeno sei persone impiegate nella direzione di gara, ma non cambia la sostanza: mai come in questo campionato ci sono state conduzioni di gara discusse, scelte contestate e, unico vero rischio in epoca VAR, omissioni e chiamate incomprensibili.

Tutto quello che abbiamo visto non permette (purtroppo) di derubricare tutto alla voce cattiva annata specie in un anno davvero nefasto per il calcio in cui non andremo al mondiale secondo alcuni anche per un tipo di arbitraggio troppo italiano a cui si abituano i giocatori di Serie A (che costituiscono ancora la maggior parte degli azzurri): nel nostro campionato gli arbitri lasciano correre di meno, interrompono il gioco più spesso, rendendo più difficile l’impatto dei giocatori nelle partite internazionali, tradizionalmente più intense come ritmo e fisico. Questo penalizza anche le squadre di club impegnate nei tornei europei e infatti non è una considerazione nuova. Tipicamente salta fuori quando una squadra italiana esce malamente dalle competizioni europee.

La sensazione vedendo partite inglesi - prendiamolo pure come campionato di riferimento in questo momento - e partite di Serie A è che l’arbitro di premier non si sente parte dei 22 in campo, ma parte di una struttura - la Football Association - che ha il compito di far funzionare e crescere un movimento sportivo o, se siete meno romantici, un business. Troppe decisioni, in Italia, errate sono arrivate da protagonismo dell’arbitro di campo (e.g. ripartire senza VAR check su possibile fuorigioco: protagonismo è anche ignorare le chiamate dei colleghi in sala, non rivedere proprio determinate azioni o non richiamare l’arbitro di campo. Si tratta molto semplicemente della conseguenza di una eccessiva confidenza nei propri mezzi o di un’incomprensione dei confini del proprio ruolo.

Ecco, quest’anno, complice forse un protocollo non proprio perfetto si è assistito ad errori clamorosi persino in quell’area che sembrava sacra e inviolabile che è (era) il fuorigioco, ovvero la determinazione della posizione di un giocatore rispetto agli altri e al pallone. Ci eravamo abituati ad attese anche di qualche minuto e ad accettare - giustamente - off-side di pochi centimetri (“la punta del piede”, “mezza spalla”, etc.) e tutto a un tratto abbiamo assistito alla convalida di un gol fatto da un giocatore che riceve palla quando si trova alle spalle del portiere con davanti a se solo un difensore. Situazione certamente particolare ma molto facile da verificare e impossibile da non conoscere per chi arbitra in Serie A. Altre volte abbiamo assistito anche a revisioni in cui sono stati annullati gol che sembravano legittimi a tutti i 22 in campo, con anche il portiere incredulo per la fortuita revisione. Fuorigioco geografico, oggettivo, attivo, passivo, da sdraiati. È stato anche l’anno dei falli di mano visti e meno visti - o meglio talvolta fischiati talvolta no, che poi è il vero problema - ma soprattutto è stato l’anno in cui abbiamo conosciuto lo step on foot e in cui, di nuovo, ci sono state circostanze in cui ha portato a rigori e altre si è lasciato correre.

In definitiva, è stato il campionato degli errori, di tutti, ma soprattutto di una classe arbitrale ritenuta dal punto di vista giornalistico la migliore del mondo ma da quello dei tifosi e spettatori la ruota più sgonfia della macchina calcio che punta sempre verso una squadra o un’altra.