Sabato mentre andavo in giro in bici ho visto una scritta su un muro:
No Pista Ciclabile
Vogliamo più parcheggiAnonimo in via Giotto, Milano
Mi ha fatto un po’ pensare e sicuramente mi ha spinto a scrivere alcune cose a cui pensavo già da qualche giorno. Hanno a che fare con cos’è necessario fare adesso e perché non riusciremo a farlo. Così, per sintetizzare, direi che in Italia quando ci guardiamo allo specchio ci piace vederci migliori di come siamo ed è con questo spirito e falso sorriso che ci ritroviamo a contare contagi nell’ordine delle decine di migliaia, seguire le conferenze sui DPCM, commentare tutto sempre e comunque, e altri noti vizi nazionali.
Non farò quello che diceva “l’avevo detto” anche perché, benché vero, finché non lo scrivi non puoi provarlo però lo faccio lo stesso per cui se chiedete alla portinaia del mio palazzo – che per me su questioni tipo “chi ha detto cosa quando” è Cassazione – vi potrà confermare che ad Agosto le dicevo che la nostra situazione era come quella francese ma un mese in ritardo e che il problema principale era il fatto che non avessimo pensato a niente.
Quando hai un problema riconosciuto – quindi non parliamo di negazionisti ché non mi piace perder tempo – se vuoi risolverlo o almeno gestirlo ti devi concentrare sugli attori che possono contribuire e su ciò che devono fare. Per semplificare molto per contenere il coronavirus (che una volta per correttezza chiamavamo SaRS-CoV-2) ci siamo sempre detti che ognuno deve fare la propria parte e cioè il proprio mestiere…insomma che ognuno svolga il proprio ruolo: politici, economisti, sanitari, cittadini, giornalisti, imprenditori.
Stabilito per esempio che i politici devoano prendere le decisioni in una certa maniera (non guidata dal consenso, ma dall’efficacia che può portare impopolarità) o che i cittadini si debbano comportare in una certa altra sarebbe fantastico ci si concentrasse anche su un’altra categoria di persone: gli innovatori.
Gli innovatori sono una minoranza ridottissima di tutti i già citati risolutori dei problemi. Nell’idea che mi sono fatto una pandemia può essere vista come un evento straordinario capace di cambiare le vite di tutti al punto di stabilire un prima e un dopo (al pari di una guerra, una teoria economica, una corrente filosofica, un trattato e così via…): gli innovatori sono quelli che ti permettono di non presentarti all’appuntamento col dopo vestito come avresti fatto prima. Stabiliscono o almeno promuovono nuove abitudini, nuovi modi di fare una cosa e sono orientati, auspicabilmente, a migliorare la vita di tutti.
È questo tipo di persona e questo tipo di attitudine che mi pare di non vedere: non la vedo nei banchi con le rotelle, non la vedo negli autobus sovraffollati, non la vedo nei posti di terapia intensiva ancora lontani dal target, non la vedo – di sicuro – negli atti vandalici di Torino, Napoli, Milano e Roma.
Non c’è nulla nell’attuale gestione dell’emergenza che mi faccia pensare che, una volta passata l’epidemia, vivremo, lavoreremo e agiremo in maniera diversa.
Del resto proprio la gestione della pandemia in questa seconda ondata mi pare uguale alla precedente: gestire anziché prevenire, rincorrere anziché anticipare…e tutta l’esperienza di risk management fatta – a carissimo costo – è andata persa (o non è stata proprio capita).
Prendiamo la scuola. Sono state fatte le corse per sistemare le aule per permettere la didattica “in presenza” – ovvero fare scuola come prima ma con la pandemia – e ora come rincorriamo (anziché anticipare) il problema? Tornando a fare la didattica “a distanza”. Abbiamo innovato qualcosa nel mentre? No. Riduciamo in maniera sostanziale il rischio di contagio? No.
Solo con questa resistenza all’innovazione riesco a dare un senso, sostanzialmente per analogia, ad un cervello che ritiene congruo comprare una bomboletta spray rosa per scrivere su un muro antistante una nuova pista ciclabile che servono più parcheggi e non la pista ciclabile stessa… francamente mi lascia molto perplesso su qualsiasi futuro vogliamo immaginarci. Mi sento un po’ come Ford Prefect, ma senza una borsa con un asciugamano e il congegno con su scritto “Don’t Panic”.
Arthur si strinse nelle spalle, come a dire “boh”.
– Non lo so – disse, bevendo un sorso di birra. – Perché, è questo il tipo di cosa che ti accingi a dirmi?
Ford lasciò perdere. Era inutile sprecare tanta fatica, visto che il mondo stava per finire. Così si limitò a dire:
– Bevi.
Poi, con la stessa naturalezza, aggiunse:
– Il mondo sta per finire.
Arthur tornò a guardare le gente nel pub con un sorriso melenso.
La gente del pub lo guardò con la fronte aggrottata.
Un uomo alzò unamano, facendogli cenno di smettere di sorridere e di pensare agli affarisuoi.
– Oggi dev’essere giovedì – si disse Arthur chinandosi sopra la suabirra. – Non sono mai riuscito a capirli, i giovedì. \D. Adams, Guida Galattica per gli Autostoppisti / Capitolo 2